Si consuma il ritorno tra i suoi preparativi, l'atto di ritornare e la possibilità di disporsi nell'animo ad intraprendere nuove, illimitate partenze.
Eccomi.
La traversata americana ha riempito gli occhi di colore, rielaborato linfe, stancato le gambe - la mente e soprattutto la lingua grazie a quel barbaro, imperioso imperialista sistema di segni denominato "inglese". In realtà i fiori oltre il confine sono uguali a quelli che negli anni ho coltivato nella mia mente-libro, un legge fatale ci sovrasta nella nostra mutua potenzialità di crederci diversi, partire mi è in ultima analisi stato utile solo per comprendere questo: il pensabile ci appartiene solo quando l'abitiamo con atti e materia; diversamente il pensabile fomenta molecole astruse di delirio cui solo il viaggio può porre rimedio. Così è stato e così sarà sempre, almeno per me spero... Negli anni, contro la meccanica delle saliche leggi caratteriali, la volontà di deviamento dalla pavesiane rotaie svetta, ma a nulla serve: a nulla: non so vivere per più di un mese nello stesso posto. Non sono in grado.. A cosa mi porterà questa inquietudine?
Ad una completa quanto arida solitudine, certamente, ma non ciò mi spaventa.. In realtà non una conseguenza di quel che potrei scatenare mi fa paura per la mia vita; il timore è danneggiare la sensibilità delle persone che, malamente, amo.
Dunque a tentoni, coadiuvati dalla poesia (degli altri) il mio tempo dovrebbe riprendere a svagarsi, nutrendosi di nostalgie bostoniane ricche di riferimenti pseudoletterari... Ma ne vale la pena?
Sì, il prodotto letterario, sebbene sottoposto alla possibilità di divenire feticcio dei fantasmi d'epoca post-moderna, vale sempre la pena d'essere pensato, esperito, accolto.
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